Smart contracts e diritto: opportunità o minaccia?
I cosiddetti “contratti intelligenti” sembrano promettere un mondo senza avvocati, senza giudici, e senza “fiducia”.
Un mondo in cui il codice decide tutto, senza possibilità d’appello. Ma cosa succede quando quel codice sbaglia, o viene manipolato? Ma è davvero così? In questo articolo ti accompagno tra casi reali, vulnerabilità del codice e zone d’ombra giuridica che pongono più domande che certezze.
Come funzionano gli smart contracts
Gli smart contracts sono programmi informatici eseguiti su una blockchain che automatizzano l’applicazione di un accordo tra le parti.
Questi contratti si basano su condizioni predefinite scritte in codice e, una volta soddisfatte, eseguono automaticamente le disposizioni previste
Principali caratteristiche:
Automazione – Eseguono automaticamente le azioni senza necessità di intervento umano
Immutabilità – Una volta distribuiti sulla blockchain, non possono essere modificati senza il consenso delle parti.
Sicurezza – Sono protetti dalla crittografia della blockchain, riducendo il rischio di manipolazioni.
Trasparenza – Il codice del contratto è visibile sulla blockchain e accessibile a tutti gli utenti.

Esempi pratici:
Immaginiamo un contratto intelligente per l’affitto di un appartamento. Il locatario trasferisce il pagamento in criptovaluta allo smart contract, che verifica automaticamente l’importo e sblocca l’accesso digitale all’appartamento se la somma è corretta.
In caso contrario, il contratto non esegue l’operazione, evitando dispute e intermediari.
Un altro esempio può essere quello dell’acquisto di biglietti per un concerto.
Lo smart contract verifica la disponibilità dei posti, riceve il pagamento in criptovaluta e invia automaticamente al compratore un biglietto digitale validato, che può essere emesso anche sotto forma di NFT (Non-Fungible Token). In caso di evento cancellato, il contratto può prevedere un rimborso automatico. Tuttavia, se il codice non contempla tutte le casistiche (ritardi, spostamenti, errori di prenotazione), il consumatore potrebbe trovarsi senza tutele né rimborsi, evidenziando i limiti dell’automazione.
Quando il codice sbaglia: il caso The DAO e le sue lezioni
Le promesse teoriche degli smart contracts si sono spesso scontrate con la realtà dei fatti, mostrando come l’automazione non possa sostituire del tutto la complessità dei rapporti umani e giuridici. Uno degli episodi più noti è il caso The DAO del 2016. La Decentralized Autonomous Organization (DAO), basata su Ethereum, utilizzava smart contract per gestire le decisioni di investimento degli utenti. Aveva raccolto circa 150 milioni di dollari in criptovalute per un fondo di investimento decentralizzato. Tuttavia, una vulnerabilità nel codice ha permesso a un hacker di sottrarre 60 milioni di dollari. Questo ha portato alla creazione di un hard fork di Ethereum per annullare la transazione, sollevando interrogativi sulla sicurezza e sull’immutabilità dei contratti intelligenti.
Una delle critiche principali è che il codice non sempre rispecchia l’intento delle parti e la mancanza di strumenti di revisione legale può causare danni significativi.
Il problema della giurisdizione e della risoluzione delle dispute
I contratti intelligenti operano su blockchain globali, ovvero reti distribuite che non sono soggette alla giurisdizione di un singolo Stato.
Questo contesto tecnico e geografico rende complesso stabilire quale legge si applichi in caso di controversie tra le parti coinvolte, specialmente quando queste risiedono in Paesi diversi.
Un caso esemplare che evidenzia questa criticità è quello di Quoine v. B2C2, deciso dalla Corte Suprema di Singapore nel 2020.
In tale vicenda, la piattaforma di trading Quoine aveva annullato unilateralmente alcune transazioni eseguite da B2C2, sostenendo che fossero il risultato di un “errore di mercato” dovuto a un malfunzionamento del sistema.
Il tribunale ha stabilito che anche i contratti intelligenti devono conformarsi ai principi generali del diritto contrattuale, chiarendo che il fatto che un contratto sia eseguito tramite codice informatico non lo sottrae all’applicazione delle norme giuridiche tradizionali.
La critica principale che viene mossa è relativa alla mancanza di una normativa globale e condivisa sui contratti intelligenti rappresenta una delle sfide più rilevanti in ambito giuridico. In assenza di regole armonizzate a livello internazionale, ogni controversia rischia di essere trattata secondo normative nazionali spesso non aggiornate o inadeguate a gestire le peculiarità tecniche di questi strumenti. Questo scenario crea incertezza sia per gli sviluppatori sia per le parti contraenti, ostacolando la diffusione sicura e consapevole degli smart contracts su scala globale.
Smart contracts e diritto dei consumatori
Un’altra problematica riguarda la tutela dei consumatori. Poiché i contratti intelligenti sono autoesecutivi, non prevedono la possibilità di rescindere l’accordo in caso di errori o pratiche ingannevoli. Nel caso Rocket Lawyer v. US, ad esempio, è stato sollevato il problema della trasparenza nei contratti digitali, evidenziando la necessità di meccanismi per la tutela degli utenti meno esperti.
La natura automatica dei contratti intelligenti, se da un lato elimina molti passaggi intermedi e margini di errore umano, dall’altro può compromettere alcune garanzie fondamentali per il consumatore.
In particolare, l’impossibilità di intervenire una volta avviata l’esecuzione automatica può limitare il diritto di recesso, la possibilità di rinegoziare condizioni o correggere errori, esponendo gli utenti a rischi spesso superiori rispetto a quelli previsti nei contratti tradizionali.
Conclusioni e prospettive future
Sebbene i contratti intelligenti rappresentino una grande innovazione tecnologica, le implicazioni legali restano complesse e irrisolte.
È necessario un quadro normativo chiaro che integri gli smart contracts nel diritto contrattuale esistente, garantendo al contempo sicurezza, flessibilità e protezione per le parti coinvolte.
La vera sfida non è solo normativa, ma culturale.
È la stessa differenza che passa tra scrivere un contratto su carta e affidarlo a un algoritmo che lo esegue senza comprensione del contesto. Come reagirebbe una macchina davanti a una clausola ingiusta, o a una situazione imprevista che richiederebbe buon senso o empatia?
L’automazione richiede una riflessione collettiva su quali margini vogliamo preservare all’intervento umano.
Dobbiamo chiederci non solo come regolare i contratti intelligenti, ma che tipo di rapporti umani vogliamo affidare a una riga di codice. Le tecnologie possono automatizzare l’esecuzione, ma non sostituire la comprensione, il margine d’errore e — a volte — la compassione.
È su questo terreno che il diritto deve tornare protagonista. Con equilibrio, visione e una nuova alleanza tra umanesimo e innovazione.
Parlare di smart contracts significa anche interrogarsi su come queste tecnologie influenzano le persone. Non è solo una questione di norme e codici, ma di vite reali, di diritti, di relazioni. Ecco perché questo tema mi sta particolarmente a cuore: perché va oltre il diritto, tocca l’umano.
Ne parlerò presto anche in video, con un approccio più diretto e narrativo, per chi desidera approfondire il tema attraverso il racconto e l’esperienza.

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Autore: Avv. Stefano Nardini
Avvocato, esperto in diritto delle nuove tecnologie, privacy e sicurezza informatica. Opera da oltre 20 anni nella consulenza per imprese, professionisti ed enti pubblici in materia di GDPR, compliance e innovazione digitale. Data Protection Officer e Privacy Officer certificato.
Questo articolo riflette l’esperienza maturata direttamente sul campo, nella gestione di casi reali in tema di identità digitale e protezione dei dati.
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