PagoPA: paga come diciamo noi (e pagaci pure la commissione)
Viviamo in un’epoca in cui “digitale” è sinonimo di progresso ma se la modernità fosse davvero sinonimo di libertà, PagoPA sarebbe un trionfo, invece è un esempio perfetto di come una buona idea, nel tradursi in obbligo, finisca per ridurre gli spazi di scelta del cittadino, magari anche per far cassa.
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Obbligatorio per la P.A. Inevitabile per te.
L’art. 5 del Codice dell’Amministrazione Digitale (d.lgs. 82/2005) impone alle Pubbliche Amministrazioni e ai gestori di pubblici servizi l’obbligo di aderire a PagoPA per la riscossione di qualunque importo dovuto da cittadini o imprese.
Non si tratta di una facoltà: è un vincolo giuridico pieno, rafforzato dal D.L. 162/2019 e dalle linee guida AGID.
In pratica gli enti pubblici non possono più accettare pagamenti al di fuori del circuito PagoPA.
Un bonifico diretto, un versamento in contanti o un pagamento tradizionale possono essere legittimamente rifiutati.
Così, pur senza che la legge imponga esplicitamente al cittadino di usare PagoPA, la sua libertà di scelta si estingue per riflesso: semplicemente, non esiste più un canale alternativo.
Gli obblighi “indiretti” pare infatti siano la nuova moda del legislatore moderno.
La moneta legale esiste ancora. Peccato che nessuno la accetti.
L’art. 1277 del Codice Civile dice una cosa chiara e antica: i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato.
Sulla carta, nulla è cambiato.
Prova però a pagare la tassa rifiuti in contanti all’ufficio comunale: ti guarderanno come se avessi tirato fuori un assegno circolare degli anni ’80, non perché sia illegale, ma perché il sistema proprio non lo prevede più.
Nella realtà quotidiana, chi oggi si presenta in un ufficio pubblico con denaro contante o tenta un bonifico ordinario scopre che nessuno può più accettarlo.
Non per capriccio, ma per un vincolo tecnico e contabile che la stessa P.A. non ha il potere di aggirare.
In sostanza, il diritto resta, ma non trova più qualcuno disposto o abilitato a riconoscerlo.
È un po’ come avere il diritto di camminare liberamente, ma scoprire che ogni strada è a pagamento digitale o impone un controllo biometrico o tramite QR code.
Nato per aiutare, diventato obbligo
PagoPA doveva essere una piattaforma neutra e trasparente, pensata per semplificare la vita delle amministrazioni e rendere tracciabili i flussi di denaro pubblico.
Con il tempo è diventata una porta obbligata: chi non la attraversa, resta fuori dal sistema.
È il classico esempio di come un meccanismo organizzativo, nato per aiutare, finisca per comandare e controllare.
Una sorta di tornello installato “in nome della libertà di movimento”.
Il legislatore non ha mai scritto “il cittadino deve usare PagoPA”, ma ha stabilito che “la P.A. può ricevere pagamenti solo tramite PagoPA”, il risultato non cambia.
È un po’ come quando ti dicono “sei libero di non accettare i cookie”, ma poi il sito non funziona, formalmente hai scelto tu, sostanzialmente no.
La coercizione resta, solo formalmente più “elegante”.

Efficienza o libertà? Non si possono avere entrambe?”
L’art. 97 della Costituzione parla di efficienza, ma anche di legalità e buon andamento e l’efficienza, da sola, non basta a giustificare ogni vincolo.
L’efficienza è un valore, certo ma non può essere l’unico, altrimenti ogni diritto diventa un “dettaglio operativo” da sacrificare al primo QR code.
Possiamo sacrificare la libertà per rendere più veloce la burocrazia?
In teoria PagoPA serve a garantire trasparenza, in pratica impedisce di usare la moneta avente corso legale nei rapporti con lo Stato.
Una misura di semplificazione che, di fatto, cancella una possibilità giuridica prevista dal Codice Civile.
Commissioni: l’efficienza che fa cassa
E poi ci sono le commissioni obbligatorie, la parte più ironica della storia.
Ogni pagamento effettuato tramite la piattaforma comporta un costo aggiuntivo, in genere da 1 a 2 euro per operazione, a seconda dell’intermediario scelto.
Nel 2023 sono state registrate oltre 386 milioni di transazioni; nel 2024 si è saliti a circa 422 milioni di operazioni.
Ciascuna di queste ha comportato una commissione, piccola ma inevitabile.
Piccola, sì ma prova a moltiplicarla per ogni bolletta, ogni multa, ogni certificato.
Alla fine dell’anno, quella “modernità” ti è costata quanto una cena o forse due, per non parlare di quanto incamerano i gestori del servizio e lo Stato indirettamente.
Non serve fare i conti per capire che si parla di cifre colossali.
Un “balzello digitale” che nessuno chiama tassa, ma che ne produce gli effetti.
Non va allo Stato direttamente, ma al sistema dei prestatori di pagamento.
In pratica, il cittadino finanzia la piattaforma che lo obbliga a usarla.
Un modello di efficienza, di certo per chi incassa.
Tu paghi, loro incassano e ti ringraziano pure per la collaborazione.
Il sistema del futuro con i problemi del passato
Chi ha provato a fare un pagamento PagoPA alle 22:00 di un sabato lo sa, il sistema può essere moderno, ma non per forza accessibile: PIN dimenticati, QR code non leggibili, connessioni scadute e, alla fine, l’addebito della commissione: il prezzo della semplificazione.
È la burocrazia del futuro con i difetti del passato e il problema non è la tecnologia in sé, è che ti obbligano a passare da lì e poi ti fanno pure pagare il pedaggio.
E chi vuole solo pagare una retta scolastica si ritrova in un labirinto digitale in cui l’unica certezza è che non esistono sportelli “umani”.

La moneta legale c’è ancora, è solo diventata invisibile.
Esiste nei codici e nei Trattati europei, ma non più nelle prassi della Pubblica Amministrazione.
Riscoprirla non significa rifiutare l’innovazione, ma ricordare che la tecnologia non può sostituire la libertà.
Il problema non è PagoPA, ma il suo uso cieco: l’idea che, se qualcosa è digitale, allora deve per forza essere obbligatorio.
È questo lo scivolamento culturale più pericoloso: confondere la semplificazione con l’obbedienza.
E adesso?
PagoPA nasce da un’intenzione condivisibile: rendere i pagamenti pubblici più trasparenti ma la sua evoluzione normativa ha prodotto un effetto collaterale evidente: l’espropriazione del gesto di pagamento, che da atto di libertà diventa procedura informatica.
Forse non serve tornare indietro, ma serve tornare a capire.
Perché tra efficienza e libertà c’è una linea sottile e cancellarla, in nome della semplificazione, non è progresso, è l’illusione di aver scelto, solo che qualcun altro ha già deciso per te e ti ha pure fatto pagare il biglietto.
Poi la chiamano modernità…
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Autore: Avv. Stefano Nardini
Avvocato, esperto in diritto delle nuove tecnologie, privacy e sicurezza informatica. Opera da oltre 20 anni nella consulenza per imprese, professionisti ed enti pubblici su GDPR, compliance e innovazione digitale. Data Protection Officer e Privacy Officer certificato.
Si occupa inoltre di diritto civile e penale, con esperienza in contenzioso, contrattualistica, responsabilità civile, reati connessi all’ambito digitale (cybercrime, trattamento illecito dei dati) e difesa penale tradizionale.
Lavora sul fronte della prevenzione e della gestione pratica dei rischi, unendo competenza tecnica e attenzione ai principi di giustizia ed etica.
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L’autore ha impiegato strumenti di intelligenza artificiale come supporto redazionale, curando personalmente la selezione, l’organizzazione e la verifica rigorosa dei contenuti.
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