Eredità digitale: il testamento che ancora nessuno scrive
Tra battaglie legali per l’iPhone del defunto e profili Facebook che ti fanno gli auguri dal regno dei morti
Milano, 2019, una famiglia italiana chiede ad Apple di accedere all’iPhone del padre deceduto, dentro il quale sono custoditi foto, documenti, ricordi irrecuperabili altrove.
Apple risponde con la durezza dello standard contrattuale: “Impossibile. I termini di servizio non lo consentono”.
La battaglia legale che ne segue dura anni. Quando finalmente il Tribunale di Milano dà ragione alla famiglia, è una vittoria parziale, fragile, che lascia molte domande senza risposta.
Eppure il caso diventa giurisprudenza (la sentenza del Tribunale di Milano contro Apple): quando muori, i tuoi dati digitali non sono automaticamente degli eredi, anche se legalmente dovrebbero esserlo.
Benvenuto nel paradosso dell’eredità digitale. Possiedi più diritti su un vecchio cassettone polveroso in soffitta che su un account Gmail dove hai accumulato vent’anni di corrispondenza.
E mentre accumuli dati, password e identità online senza quasi accorgertene, la realtà è che qualcuno prima o poi dovrà decidere cosa farne: magari in tribunale, contro una corporation californiana che ha i suoi interessi e i suoi avvocati ben più attrezzati.
La domanda reale è una sola: preferisci deciderlo tu adesso, con lucidità, o lasciare che lo decidano altri quando le emozioni e la disorganizzazione faranno da padroni?
Il patrimonio che nessuno vede (ma che esiste)
Chiamiamolo con il suo nome: eredità digitale. Tutto ciò che esiste in forma digitale e possiede valore economico, informativo o affettivo dopo la tua morte.
Il valore economico include wallet di criptovalute irrecuperabili senza chiave privata, conti PayPal con saldi dimenticati, crediti su piattaforme freelance, domini internet che generano traffico, canali YouTube monetizzati.
Ci sono persone che muoiono lasciando importi a cinque zeri in Bitcoin perché nessuno conosce il seed, e gli eredi non sanno nemmeno che quel denaro esista.
Il valore affettivo è spesso più prezioso: anni di email su Gmail che raccontano amicizie, foto su iCloud mai stampate perché “le stamperò dopo”, progetti incompiuti su Google Drive, conversazioni WhatsApp salvate in backup cloud.
Dati che non hanno prezzo di mercato ma valore umano immenso.
Il valore identitario è quello che molti sottovalutano: profili social che raccontano chi eri pubblicamente, contenuti che continueranno a circolare dopo la tua morte, relazioni digitali con persone che forse non sapranno mai che sei morto.
Ci sono vedovi che scoprono profili nascosti, figli che incontrano versioni del padre che non avevano mai visto.
Il punto elementare che sfugge: questi asset esistono, hanno valore concreto, e qualcuno dovrà gestirli.
Ma il diritto italiano si è accorto del problema solo di recente, e le soluzioni rimangono incomplete, spesso in conflitto con le policy delle piattaforme globali.

Quando il Codice Civile del 1942 incontra il cloud
Dal 2018 abbiamo l’articolo 2-terdecies del Codice Privacy, che recepisce il GDPR: i diritti sui dati personali sopravvivono alla morte e possono essere esercitati dagli eredi.
Sulla carta, possono chiedere accesso, rettifica o cancellazione dei dati del de cuius alle piattaforme, proprio come farebbe da vivo.
Ma la realtà è diversa. Tre problemi sistemici rendono questo diritto quasi inutile.
Primo: i contratti delle piattaforme dicono esattamente il contrario. L’Apple ID è intrasferibile.
Facebook permette solo di “commemorare” il profilo, non di trasferirlo.
Google offre strumenti limitati creati dopo pressione legale.
Amazon, Netflix, Spotify chiudono l’account e fine.
Conflitto frontale tra diritto successorio italiano ed europeo e termini di servizio di multinazionali americane che seguono la legge californiana.
Secondo: la burocrazia è devastante. Serve certificato di morte, dichiarazione di successione, prova del rapporto familiare. Ogni piattaforma ha procedure diverse, spesso contraddittorie. I tempi sono biblici, le risposte lente o inesistenti.
Tutto questo per accedere a un’email.
Terzo: se nel testamento scrivi “voglio che il mio Facebook venga cancellato” ma la piattaforma lo rende commemorativo per policy interna, chi prevale? La tua volontà testamentaria o il contratto firmato anni fa senza leggere?
C’è un ulteriore ostacolo tecnico che complica tutto: l’autenticazione a due fattori (2FA).
Quando attivi la 2FA — e dovresti, è fondamentale per la sicurezza — leghi l’accesso a un dispositivo fisico: il tuo smartphone, una chiave hardware, un’app di autenticazione.
Se muori, anche conoscendo username e password, gli eredi si trovano davanti a un muro invalicabile: serve il secondo fattore, che è sul tuo telefono bloccato o su una chiave hardware di cui ignorano l’esistenza.
Senza quello, l’account rimane inaccessibile.
Alcune piattaforme offrono codici di recupero da stampare e conservare al sicuro proprio per questo scenario, ma la maggior parte delle persone non li genera mai.
Risultato: gli eredi sanno che l’account esiste, hanno anche le credenziali, ma non possono entrarci. È l’equivalente digitale di avere la chiave di casa ma non il codice dell’allarme.
La giurisprudenza italiana non ha risposte definitive.
In Germania la Corte Federale ha dato ragione agli eredi contro Facebook. Negli USA prevale il contratto, sempre.
In Italia siamo nel mezzo, senza certezze.
Il caso che spiega tutto
Due fratelli litigano per accedere all’account Gmail del padre deceduto. Dentro ci sono email sulla gestione dell’azienda di famiglia, ma anche corrispondenze private, conversazioni mai intese per occhi esterni, comunicazioni che il padre avrebbe preferito restassero segrete.
Chi ha ragione? Il diritto alla privacy del morto, inalienabile anche dopo la morte, o il diritto successorio degli eredi che hanno bisogno di quei dati per gestire l’eredità? Non c’è risposta univoca.
Aggiungi che il figlio scopre un wallet Bitcoin del padre con somma importante, ma senza chiave privata è tecnicamente inaccessibile. Il patrimonio è lì, tracciabile sulla blockchain, ma nessun tribunale può ordinare a una rete decentralizzata di “restituire i soldi”. Il denaro esiste ma rimane bloccato per sempre.
Questi conflitti accadono ogni giorno, in tribunale e fuori, tra persone che navigano tensioni emotive enormi mentre cercano di decifrare regole che nessuno ha scritto con chiarezza.
La verità è che molte battaglie potrebbero essere evitate con istruzioni chiare lasciate preventivamente.
Tre azioni concrete
La buona notizia: non serve essere avvocati per impostare un sistema decente di gestione dell’eredità digitale.
Servono tre azioni eseguibili in una settimana.
1. Censimento completo (2 ore)
Crea un documento, titolo: “Inventario digitale [data]”.
Elenca:
- Account finanziari: banche online, PayPal, wallet crypto (exchange o self-custody?)
- Cloud storage: Drive, Dropbox, iCloud — cosa contengono?
- Social media: Facebook, Instagram, LinkedIn — vuoi commemorarli, cancellarli o trasferirli?
- Email: Gmail, Outlook — importanza dei contenuti?
- Streaming: Netflix, Spotify, Prime — crediti pendenti?
- Domini e hosting: siti con valore economico o affettivo
- Gaming: account con asset digitali, valute virtuali
Per ogni account: nome servizio, email usata, autenticazione a due fattori attiva, cosa vuoi che succeda (cancellare/trasferire/commemorare).
Non scrivere password, mai.
Questo documento deve essere leggibile senza compromettere la sicurezza.
2. Attivare sistemi nativi delle piattaforme (1 ora)
Google Inactive Account Manager: myaccount.google.com → “Gestione account inattivo”. Imposta periodo di inattività (3-12 mesi) dopo cui Google contatta fino a 10 persone fidate dandogli accesso o cancellando tutto. Scegli cosa condividere.
Apple Legacy Contact: Impostazioni iPhone → [nome] → Password e sicurezza → Legacy Contact. Nomini una persona che, con certificato di morte, ottiene accesso ai dati iCloud in giorni anziché mesi di battaglie legali.
Facebook/Instagram: Impostazioni → “Commemorazione” o “Legacy Contact”. Nomini un contatto erede che gestisce il profilo commemorativo o richiedi cancellazione automatica.
15 minuti per piattaforma. Non risolvono tutto, ma ti mettono in posizione immensamente migliore.
3. Nomina formale di fiduciario digitale
Azione più importante. Serve una scrittura privata autenticata che nomini un fiduciario digitale.
Chi: persona di fiducia assoluta, tecnicamente competente a livello base, possibilmente più giovane di te. Non deve essere erede legale: può essere anche un amico, un cugino un po’ “tecnologico”, chiunque sia affidabile.
Cosa scrivere: “Io sottoscritto [nome] nomino [nome fiduciario] quale mio fiduciario digitale incaricato di gestire account e dati secondo istruzioni nel documento allegato [inventario].” Firma, data, eventuale autenticazione notarile (50-150 euro) per renderla opponibile.
Dove conservare password:
- Password manager con accesso di emergenza: 1Password o Bitwarden permettono accesso a persona fidata dopo 7 giorni di attesa. Tu blocchi se sei vivo; se non rispondi, il fiduciario accede.
- Cassetta bancaria: busta sigillata con istruzioni. Fiduciario accede con certificato di morte.
- Notaio: busta aperta dopo morte su richiesta fiduciario con documentazione.
Tre azioni, una settimana, zero scuse.

L’eredità che conta davvero
Il testamento digitale ci obbliga a fare i conti con una verità: la nostra identità non finisce più con la morte fisica.
Continua a esistere, frammentata tra server, profili, archivi cloud, costruita dai nostri clic quotidiani. È lì, traccia vivente di chi siamo stati, e qualcuno dovrà decidere cosa farne.
Meglio che sia tu, con istruzioni chiare lasciate per tempo.
Non per controllo ossessivo dal di là, ma per rispetto. Rispetto verso chi resta e dovrà gestire il caos, e rispetto verso te stesso e la coerenza della tua memoria.
La vera eredità non sono i gigabyte sparsi nel cloud, è la consapevolezza con cui hai scelto cosa lasciare e cosa lasciar andare.
È dire ai tuoi eredi: “Non vi lascio un casino da gestire, indovinando cosa volevo. Vi lascio istruzioni chiare, complete, pratiche. E soprattutto vi lascio la libertà di ricordarmi come preferite, secondo la vostra sensibilità, non secondo gli algoritmi di una piattaforma”.
Il testamento digitale è l’ultima occasione per vivere — e per lasciare — in modo consapevole, anche di fronte al limite definitivo.
Domande frequenti (FAQ)
Posso inserire password nel testamento?
No, pericoloso. Il testamento diventa pubblico all’apertura successione: chiunque acceda agli atti notarili legge password in chiaro. Indica solo cosa fare (“cancellare account X”, “trasferire Drive a figlio”), conserva credenziali separatamente: cassetta bancaria, password manager con accesso delegato, busta sigillata dal notaio. Nel testamento scrivi dove trovare le istruzioni, non le istruzioni stesse.
Gli eredi possono accedere automaticamente ai miei account?
No. Serve procedura per ogni piattaforma: certificato morte, dichiarazione successione, prova rapporto familiare. Google e Facebook hanno form dedicati, tempi lunghi (settimane/mesi, a volte nessuna risposta). Apple richiede Legacy Contact preimpostato o ordine tribunale. Amazon, Netflix, Spotify chiudono l’account senza trasferimento. Senza tue istruzioni preventive, gli eredi affrontano percorso a ostacoli senza certezze.
Cosa succede se non lascio disposizioni?
Account in limbo secondo policy piattaforme: alcuni commemorativi (Facebook), altri inaccessibili, altri cancellati per inattività. Rischi: perdita dati affettivi (foto, email mai salvate offline); irrecuperabilità asset economici (crypto senza chiave, crediti bloccati); profili attivi senza controllo, hackerabili; battaglie legali tra eredi basate su interpretazioni incerte.
Quanto costa formalizzare un testamento digitale?
Dipende dalla strada che scegli. Scrittura privata autenticata per nominare un fiduciario digitale: 100-300 euro. Testamento pubblico notarile che includa clausole digitali specifiche: 500-1.500
euro — include consulenza base. Consulenza legale specialistica per situazioni patrimoniali complesse — diverse criptovalute, business online, archivi sensibili: 150-300 euro all’ora, mediamente 2-3 ore totali, quindi 300-900 euro. Gli strumenti gratuiti delle big tech — Google Legacy Contact, Facebook, Apple: 0 euro, ma copertura parziale e funzionalità limitate. La soluzione consigliata per la maggior parte dei casi: combinazione pragmatica di testamento notarile con clausole digitali + attivazione degli strumenti gratuiti delle piattaforme + nomina formale del fiduciario. Costo totale approssimativo per situazione patrimoniale media: 800-2.000 euro una tantum.
I wallet di criptovalute sono ereditabili?
Sì giuridicamente — il codice civile li considera patrimonio ereditabile come qualsiasi altro bene. Però no, praticamente, senza la chiave privata. Non esistono procedure di recupero se perdi il seed phrase: i fondi rimangono bloccati per sempre anche con una sentenza del tribunale supremo, perché la blockchain è decentralizzata e nessun ente, nessun’autorità, nessun hacker può “resettare” l’accesso. È finito. Devi lasciare istruzioni rigorosamente sicure sulla chiave: seed custodito in cassetta bancaria, oppure key splitting dove la chiave viene divisa in frammenti conservati da fiduciari diversi. Alcuni exchange centralizzati permettono accesso agli eredi con documentazione legale appropriata, ma questi sono promesse di aziende private, non il possesso reale dei fondi sulla blockchain.
Come faccio a sapere quali account ha lasciato il defunto?
È uno dei problemi pratici più grandi e sottovalutati. Strategie concrete: controlla l’email principale per notifiche di login e conferme di account — rivela direttamente quali servizi usava; verifica gli estratti conto bancari per abbonamenti ricorrenti e pagamenti ricorrenti; se hai accesso fisico al dispositivo, controlla il browser per le password salvate (molti browser hanno archivi esportabili); guarda lo smartphone per app installate e accessi attivi; accedi ai password manager se li usava — ma serve la password master; chiedi sistematicamente ai familiari stretti se ricordano account specifici. Ecco perché è assolutamente essenziale che tu lasci una lista aggiornata di tutti i tuoi account in luogo sicuro e accessibile ai tuoi fiduciari. Senza questa lista inventariale, gli eredi procedono per tentativi e spesso tralasciano cose importanti.
E tu? Hai mai pensato davvero a cosa succederà ai tuoi dati quando non ci sarai più? Hai preso provvedimenti concreti, o continui a rimandare?
Domanda più scomoda: se domani i tuoi eredi dovessero accedere alle tue email, cronologia, file cloud, ci sarebbe qualcosa che preferiresti non leggessero? Forse è il momento di decidere cosa farne di quel “qualcosa”, adesso, mentre ne hai ancora il controllo.
Pagina del Garante Privacy sull’eredità digitale
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Autore: Avv. Stefano Nardini
Avvocato, esperto in diritto delle nuove tecnologie, privacy e sicurezza informatica. Opera da oltre 20 anni nella consulenza per imprese, professionisti ed enti pubblici su GDPR, compliance e innovazione digitale. Data Protection Officer e Privacy Officer certificato.
Si occupa inoltre di diritto civile e penale, con esperienza in contenzioso, contrattualistica, responsabilità civile, reati connessi all’ambito digitale (cybercrime, trattamento illecito dei dati) e difesa penale tradizionale.
Lavora sul fronte della prevenzione e della gestione pratica dei rischi, unendo competenza tecnica e attenzione ai principi di giustizia ed etica.
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L’autore ha impiegato strumenti di intelligenza artificiale come supporto redazionale, curando personalmente la selezione, l’organizzazione e la verifica rigorosa dei contenuti.

