Chatcontrol rinviato (di nuovo): l’Europa ferma il voto, ma il controllo continua
Dal 2022 a oggi, tre anni di tentativi, rinvii e promesse di tutela: ma la sorveglianza digitale è già tra noi.
Un rinvio che sa di déjà-vu
Il voto sul regolamento europeo noto come Chatcontrol, previsto per il 14 ottobre, è stato nuovamente rinviato.
I 27 Paesi membri non hanno trovato un accordo, e il dossier resta sospeso, in attesa di un compromesso che appare ogni volta più difficile.
Non è la prima volta che accade.
Già nel 2023 la proposta si era arenata di fronte alle obiezioni di diversi Stati, preoccupati per le implicazioni sulla privacy.
Ma il vero inizio di questa storia risale a tre anni fa, quando la Commissione europea presentò per la prima volta l’idea di analizzare automaticamente i messaggi privati per contrastare la pedopornografia online.
Le origini: il progetto che voleva proteggere
Ne avevo parlato già nel 2022, quando il tema del controllo dei messaggi privati appariva per la prima volta nei piani di Bruxelles.
L’obiettivo dichiarato era nobile: proteggere i minori.
Ma la modalità prevista era inquietante. Ogni messaggio, anche criptato, avrebbe potuto essere sottoposto a un controllo automatico tramite algoritmi di rilevamento.
Dietro la promessa di sicurezza si nascondeva la più estesa forma di sorveglianza mai proposta in Europa.
Un precedente che avrebbe aperto la strada alla fine della riservatezza nelle comunicazioni digitali.
Dalla critica alla riscrittura: il ritorno come ProtectEU
Nel 2025 il progetto è tornato, ribattezzato ProtectEU.
Cambiava il nome, ma non la sostanza.
Gli stessi meccanismi di scansione, le stesse giustificazioni, gli stessi rischi.
In quell’occasione, analizzando il nuovo testo, avevo osservato come l’operazione sembrasse più un tentativo di rebranding politico che un reale ripensamento giuridico, con un’estensione significativa dell’oggetto del controllo e degli ambiti di tutela: non solo la protezione dei minori, ma anche la prevenzione di reati informatici, terrorismo, traffico di esseri umani e materiale illecito.
Ciò significava includere non solo messaggi e immagini, ma anche allegati, piattaforme di messaggistica cifrata e servizi cloud, ampliando così i confini della sorveglianza digitale europea.
Tuttavia, la stessa strategia ProtectEU si muove in un orizzonte più ampio: sicurezza interna, contrasto al terrorismo, crimine informatico e accesso ai dati cifrati sono temi presenti nel dibattito europeo.
Non si tratta ancora di previsioni legislative, ma di ipotesi e direzioni politiche che lasciano intravedere un possibile ampliamento futuro del perimetro del controllo.
L’Unione cercava di rendere più accettabile ciò che, nella sostanza, restava un modello di sorveglianza preventiva applicata alle comunicazioni private.
Il presente: un rinvio che non ferma il controllo
Oggi l’Europa rinvia ancora.
Non per una presa di coscienza, ma per mancanza di accordo.
Alcuni Paesi chiedono di salvaguardare la crittografia, altri insistono sulla necessità di uno strumento efficace contro gli abusi.
In mezzo, milioni di cittadini che continuano a vivere dentro un ecosistema digitale già profondamente monitorato.
Perché la verità è che il controllo non si è mai davvero fermato. Anche senza il regolamento, piattaforme e provider analizzano già immagini, testi e metadati. Lo fanno in nome della sicurezza, della pubblicità mirata o della prevenzione. Gli algoritmi di moderazione sono già all’opera, invisibili ma costant
Il rinvio istituzionale non significa sospensione tecnologica.
La lezione del tempo
Tre anni, due rinvii, un solo problema: la difficoltà di accettare che la libertà digitale è fragile. E che la tecnologia può limitarla anche senza leggi esplicite.
Ogni volta che si rinvia un voto, si guadagna tempo politico ma si perde consapevolezza civile. Si alimenta l’illusione che il problema non esista finché non viene approvata una norma.
Ma il controllo, oggi, è già parte della nostra quotidianità.
Il voto che l’Europa non ha espresso avrebbe rappresentato un punto di non ritorno per le libertà digitali dei cittadini: un sistema di sorveglianza preventiva travestito da tutela.
Il rinvio ha evitato, per ora, un passo potenzialmente disastroso per i diritti fondamentali, ma non ha spento la logica che lo ispira.
Le problematiche del controllo invasivo restano sul tavolo, rinviate ma non eliminate, mentre forme più sottili di sorveglianza continuano a insinuarsi nella vita digitale quotidiana.
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Autore: Avv. Stefano Nardini
Avvocato, esperto in diritto delle nuove tecnologie, privacy e sicurezza informatica. Opera da oltre 20 anni nella consulenza per imprese, professionisti ed enti pubblici su GDPR, compliance e innovazione digitale. Data Protection Officer e Privacy Officer certificato.
Si occupa inoltre di diritto civile e penale, con esperienza in contenzioso, contrattualistica, responsabilità civile, reati connessi all’ambito digitale (cybercrime, trattamento illecito dei dati) e difesa penale tradizionale.
Lavora sul fronte della prevenzione e della gestione pratica dei rischi, unendo competenza tecnica e attenzione ai principi di giustizia ed etica.
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L’autore ha impiegato strumenti di intelligenza artificiale come supporto redazionale, curando personalmente la selezione, l’organizzazione e la verifica rigorosa dei contenuti.
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